Il Disturbo Bipolare rientra nella categoria dei Disturbi dello Spettro dell’Umore ed è caratterizzato da fluttuazioni ed oscillazioni dell’umore in cui ad un’estremità si colloca la depressione grave, accompagnata da un rallentamento psicofisico, sentimenti di forte tristezza e impotenza e all’estremità opposta, la mania (DBI) o ipomania (DBII) fasi durante le quali il paziente può sperimentare un diminuito bisogno di sonno, una maggiore loquacità con eloquio incoerente, un aumento dell’ attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale) o agitazione psicomotoria. La persona si sente particolarmente attiva, con una grandissima quantità di idee, in uno stato di temporanea esaltazione e grande espansività, fino ad arrivare alla presenza di sintomi psicotici quali deliri o allucinazioni che compromettono il funzionamento della vita quotidiana.
Il Disturbo Bipolare, con un adeguato supporto farmacologico, può essere gestito ma, come nella maggior parte delle terapie farmacologiche per patologie croniche, il principale rischio è quello di una scarsa aderenza da parte del paziente, esponendo la persona alla possibilità di nuove ricadute che nei casi più gravi rendono necessaria l’ospedalizzazione con notevoli conseguenze sociali, lavorative ma anche e soprattutto relazionali. La cronicità del disturbo molto spesso getta infatti anche i familiari in una situazione senza apparente via di uscita, una sorta di congelamento della vita sociale, dei desideri, della progettualità e della vita emotiva .
Qual è il possibile intervento di aiuto?
Ogni intervento centrato sul trattamento del Disturbo Bipolare avrà come obiettivo quello di aumentare l’aderenza al trattamento farmacologico, migliorare la qualità della vita del paziente attraverso il miglioramento della capacità occupazionale, della capacità di gestire lo stress, della capacità di re-instaurare relazioni interpersonali a partire dal nucleo familiare, attraverso la diversificazione delle attività, riducendo la negazione del disturbo e favorendo la presa di coscienza, ovvero aiutando il paziente a fronteggiare la malattia e a sopportare il trauma intrinseco ad essa. Tra i diversi supporti studiati in letteratura, la psicoeducazione si è rivelata essere particolarmente efficace non solo per aumentare l’insight del paziente ma anche per migliorare le capacità dei componenti della famiglia di comunicare costruttivamente e utilizzare quindi le strategie migliori per fronteggiare la patologia. Nonostante il paziente continui ad essere in prima linea agli occhi del clinico, la novità di questo approccio consiste proprio nel riporre molta importanza anche al trattamento dei familiari, vedendo nella famiglia una risorsa importantissima per fronteggiare e risolvere i problemi relativi al disturbo.
Lo scopo che la psicoeducazione per il disturbo bipolare si prefigge, è quello di insegnare ai pazienti a gestire meglio la propria malattia, a convivere con essa, a identificare precocemente tutti quei segnali prodromici di una ricaduta, ad assumere la terapia in maniera adeguata e, soprattutto, a capire perché sia necessario assumerla. Seguire un programma di psicoeducazione, oltre a essere necessario dal punto di vista della medicina basata sull’evidenza, rappresenta anche un diritto del paziente – il diritto di conoscere la propria malattia – e un complemento quasi imprescindibile alla terapia farmacologica. L’intervento psicoeducativo, ha come ulteriore obiettivo l’abbattimento dello stigma sociale, permettendo il tal modo al paziente di accettare, con meno disagio, la propria malattia e dare un nuovo senso e significato alla propria esistenza. Tutto ciò avviene all’interno di una cornice di ascolto empatico di comprensione delle difficoltà e accettazione incondizionata della persona, all’interno della quale sia il paziente che la famiglia possano sentirsi in uno stato di sicurezza che consente di esprimersi liberamente sulle loro sofferenze.